Ocean Cleanup, l’ambizioso progetto per ripulire gli oceani è iniziato.
La missione è iniziata, e così dopo anni di preparativi, è partita la più grande operazione di pulizia dei mari mai immaginata al fine di eliminare le immense isole di plastica, le cosiddette garbage patch, che si accumulano e fluttuano negli oceani. Sabato 8 settembre una grande nave che tira un gigantesco dispositivo di galleggiamento innovativo, destinato nelle intenzioni a pulire gli oceani dai rifiuti di plastica, ha lasciato San Francisco per un primo test di due settimane prima di dirigersi verso il Great Pacific Garbage Patch (GPGP), la gigantesca isola galleggiante fatta interamente di rifiuti di plastica provenienti dal continente asiatico e da quello americano, grande due volte la Francia e a metà strada tra la California e le Hawaii. L’ambizioso progetto, guidato da Ocean Cleanup, un’organizzazione no-profit olandese creata dal 23 enne Boyan Slats, mira a liberare metà di questa isola entro cinque anni, quando il sistema sarà a regime.
Per chi non conoscesse né l’organizzazione né il suo giovanissimo leader, posso dire che la storia di come è nato questo progetto sembra uscire fuori direttamente da una favola moderna. Il giovane inventore, un ragazzo dall’aria scapestrata, ma con le idee molto chiare in testa, ha un’idea rivoluzionaria quando in vacanza in Grecia con i proprio genitori, durante le sue tante immersioni in mare, nota che ci sono più residui plastici in mare che pesci. Da quel momento, a soli 16 anni, inizia a ragionare su come risolvere il grave problema e sposta la sua attenzione dalle isole greche alla grande isola di plastica del Pacifico dove tutto è più concentrato e più facile da raccogliere anche se con un procedimento troppo costoso se effettuato con delle navi mandate lì a raccogliere l’immondizia. Solo due anni dopo, il suo sogno viene presentato al mondo grazie ad un TED, ossia una presentazione di 10 minuti online, che, pur non avendo grande riscontro inizialmente, viene rilanciata sui social sei mesi dopo e diventa virale. L’idea è ufficialmente diffusa e ne parlano tantissime testate. Boyan ora ha una platea e può fare crowdfunding, vi riesce con successo e in alcuni anni raccoglie soldi, arruola scienziati e crea conoscenza. Nasce così l’organizzazione no-profit Ocean Cleanup e si inizia a progettare veramente il progetto ambientalista più vasto e ambizioso mai realizzato sul pianeta Terra, poiché se nessuno intervenisse, entro il 2050 gli oceani conterrebbero più plastica che pesci. Un'apocalisse ambientalista che Boyan vuole assolutamente evitare, e con lui gli imprenditori che lo stanno aiutando a materializzare il suo sogno ecologista.
“Se non puoi andare a prendere la plastica, lascia che la plastica venga a te” e questo si potrà fare grazie a delle barriere speciali che fluttueranno nel mare e accumuleranno i rifiuti, sfruttando la forza del vento e delle onde. In questo modo si potranno raccogliere i rifiuti lasciandoli trasportare, in modo passivo, senza consumare carburante, un’attività che quindi sarà anche fonte di profitti perché la plastica è una materia prima che si ricicla. Impossibile, secondo molti; un colpo di genio, secondo qualcuno. Un’idea tanto curiosa quanto di fatto semplice, capace di raccogliere proprio in virtù di questa semplicità decine di milioni di finanziamenti da tutto il mondo. E di trasformarsi in realtà con due anni di anticipo sulla originale tabella di marcia per un dispositivo da 20 milioni di dollari che potrebbe liberare gli oceani da tonnellate di plastica ogni anno.
Dalla prima versione del progetto, disegnata nel 2013, molte cose sono cambiate per rendere il tutto a prova di vento e di onde, non opponendosi alle stesse, ma riuscendo a sfruttarle a proprio favore. E così “dopo 273 test con un modello in scala, sei prototipi in mare, una mappatura completa del Great Pacific Garbage Patch con 30 navi e un aeroplano, e diverse iterazioni tecnologiche” quella partita l’8 settembre è la prima vera prova sul campo con l'attrezzatura definitiva, chiamata “System 001”, come a voler testimoniare l’intenzione futura di realizzarne numerose altre versioni qualora il progetto divenisse un successo. L’obiettivo dichiarato di Ocean Cleanup, in ogni caso, è quello di arrivare alla produzione di una sessantina di barriere, da installare nel corso dei prossimi anni nelle acque più inquinate del pianeta, che entro il 2040 potrebbero ripulire quasi integralmente i nostri oceani dalla plastica. Progettato per resistere alle tempeste e alle forze oceaniche, equipaggiato con pannelli solari per produrre energia elettrica, ma dotato anche di lanterne, riflettori radar, segnali di navigazione, GPS e beacon anti-collisione nell’eventualità in cui passino delle navi; il lungo galleggiante di 600 metri, oltre a tenere a galla il dispositivo, impedisce alla plastica di scorrere sopra di esso, mentre una specie di “gonnellino” si spingerà fino a 3 metri di profondità e correrà lungo il tubo, non è una rete e permetterà il normale deflusso di pesci e cetacei. Il galleggiante principale assumerà naturalmente una forma ad U seguendo le tre forze che governano in mare, ma ad una velocità maggiore della plastica, così inizierà la vera e propria fase di raccolta. In questo modo la parte centrale resterà sempre indietro e i bordi laterali, più aerodinamici, avanti, formando una sorta di bocca gigante. Sensori di ogni genere daranno poi informazioni sulla quantità di plastica accumulata e, quando questa avrà raggiunto la massima capienza, il sistema verrà raggiunto da una nave/spazzino che raccoglierà il carico e lo riporterà a terra, così da avviare i processi di riciclo.
Anche se, nel momento dell’avvio del rivoluzionario progetto, rimangono domande sulla sua effettiva funzionalità e non mancano gli scettici considerando che gli oceani dove si opererà sono ambienti estremi dove si scatenano tempeste, uragani e mareggiate da record. Bisognerà quindi testare per lungo periodo tutto il sistema e valutare eventuali danni, corrosioni o falle. Un’importante incognita al momento è quella, inoltre, che riguarda la fauna marina, anche se l’organizzazione no-profit ha confermato che eventuali pesci e cetacei saranno in grado di aggirare l’ostacolo passando al di sotto della barriera. Per sapere se l'ipotesi rappresenti una vera minaccia non resta che aspettare la fine dei test tra due settimane. Se questi problemi non si presenteranno ma, anzi, il progetto andrà a buon fine, già grazie al System 001 si stima che si potranno recuperare circa 55 tonnellate di plastica all'anno, una goccia se consideriamo le 88.000 tonnellate di materiale plastico stimato nella cosiddetta 'Great Pacific Garbage Patch’, ma, comunque, un inizio per un progetto ed un sogno che potrebbe davvero, e, ce lo auguriamo tutti, insieme ad una maggiore prevenzione futura, cambiare il nostro mare.
Giovanni Bozzetti