Overshoot Day, dal primo agosto siamo in debito con la nostra Terra
La velocità con cui consumiamo risorse in un anno è largamente superiore alla capacità dell'ecosistema di rigenerarle e così, in un certo giorno, l’umanità arriva a consumare tutta la capacità rigenerativa annuale della Terra: questa data corrisponde all'Earth Overshoot Day. Tutto è iniziato nel 1969 quando è stata istituita tale giornata simbolica, calcolata secondo la seguente equazione: (capacità biologica mondiale/consumo ecologico mondiale) moltiplicata per 365, e da allora, a parte qualche anno, la situazione è andata costantemente peggiorando: ogni anno diventiamo, infatti, sempre più voraci ed in questo 2018 tale data è caduta il primo di agosto. Dal giorno successivo stiamo quindi, simbolicamente, erodendo il capitale naturale del pianeta. Nato nel 2003 con l’obiettivo di rendere possibile un futuro sostenibile, dell’Overshoot Day si occupa il Global Footprint Network, un team internazionale che coordina la ricerca sviluppando standard metodologici e fornendo poi strumenti all’economia umana per operare entro i limiti ecologici della Terra.
L’insostenibilità deriva dal fatto che non esiste un limite alla crescita dell’economia, della produzione, dei consumi e della popolazione, mentre la Terra è una risorsa finita che non può essere aumentata. Le cause principali di questa insostenibilità sono molteplici e si possono riassumere come una combinazione tra sprechi sconsiderati di cibo, emissioni incontrollate di gas serra calcolate in CO2. Altri fattori, come la deforestazione e la sovrappopolazione umana, prevalente soprattutto nelle aree urbane e spesso malamente gestita, risultano determinanti, soprattutto viste le recenti previsioni dell'Onu che porterebbero la popolazione mondiale a passare dagli attuali 7.6 miliardi a 9.7 miliardi di persone entro il 2050. Erodendo progressivamente la capacità della natura di soddisfare i bisogni umani la tragedia diventa anche sociale, oltre che ambientale. E così già nei prossimi trent’anni si stima che almeno 4 miliardi di persone vivranno in zone aride e i problemi del continuo degrado del suolo, con la perdita di biodiversità e gli effetti dei cambiamenti climatici, forzeranno a migrare una cifra molto varia, che potrebbe raggiungere fino ai 700 milioni di esseri umani. Non tutti i Paesi attingono poi alle risorse disponibili nella stessa misura: ad esempio, se da una parte l’intera popolazione globale vivesse come gli statunitensi, servirebbero 5 Terre per soddisfarne i bisogni, dal lato opposto ci sono stati come l’India che invece si fermano allo 0,7%. L’Italia, nella classifica dei più voraci di natura, è decima: se tutti vivessero come noi, servirebbero 2,6 pianeti per alimentarsi. Nonostante l’urgenza sempre più acuta di agire per favorire la transizione a uno sviluppo più sostenibile, l’Italia sembra così prendersela comoda: il nostro Paese è in sovrasfruttamento, infatti, già dal 24 maggio. Come se noi italiani consumassimo in un anno le risorse di 4,6 “Italie”, ma naturalmente continuiamo ad averne una sola a disposizione.
La nostra impronta ecologica si sta facendo così sempre più pesante: lo vediamo sommando tutte le richieste delle persone nei confronti della natura, come la domanda di cibo, di legname e fibre; l’assorbimento delle emissioni di carbonio derivanti dalla combustione di combustibili fossili; le superfici urbanizzate destinate agli edifici, alle strade e alle altre infrastrutture. Il problema principale è però che, nonostante l’evidente deficit ambientale, non stiamo prendendo ancora misure idonee per imboccare seriamente la giusta direzione. Secondo il Global Footprint Network i campi d’azione su cui occorrerebbe maggiormente lavorare per porre dei limiti e far sì che la data dell’Earth Overshoot Day si sposti sempre più avanti per tornare al 31 dicembre sarebbero 4: città, energia, cibo e popolazione. Per arginare parte del problema, l'organizzazione internazionale di ricerca ci ricorda che se riducessimo del 50% la componente di carbonio dell’Impronta ecologica dell’umanità, l’Overshoot day indietreggerebbe subito di tre mesi; se poi tutti riducessero lo spreco alimentare della metà, tagliando al contempo l’impronta ecologica della propria dieta alimentare e consumando calorie rimanendo nella media mondiale, il giorno del sovrasfruttamento si sposterebbe di ulteriori 38 giorni; ancora se venisse dimezzato il tempo passato al volante sostituendolo con spostamenti in mezzi pubblici si guadagnerebbero 12 giorni; infine se tutte le famiglie del mondo avessero un figlio in meno, potremo guadagnare altri 30 giorni entro il 2050.
È urgente, a mio avviso, un piano globale per la difesa della biodiversità planetaria che costituisce la base fondamentale, il capitale naturale, della ricchezza e del benessere dell’umanità e quindi la necessaria garanzia per il futuro della nostra generazione e di quelle successive. L’obiettivo di evitare, ridurre e invertire l’attuale degrado di suoli mondiali è, inoltre, prioritario per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile contenuti nell’Agenda 2030, approvata da tutti i Paesi del mondo nel Settembre 2015. Smettere di appropriarci indebitamente della ricchezza appartenente alle generazioni future sarebbe così non solo auspicabile ma anche vantaggioso. Un obiettivo attuabile con le tecnologie già disponibili ed in grado di stimolare settori emergenti come ad esempio quello delle energie rinnovabili, riducendo i rischi e i costi connessi a settori imprenditoriali senza futuro perché basati su tecnologie vecchie e inquinanti. Già oggi il 32% della nostra energia elettrica proviene da fonti rinnovabili, ma dovremo fare molto di più. E se le politiche governative possono dare il contributo principale, qualcosa possiamo fare anche noi dal basso. A livello mediatico è stato lanciato l’hashtag #MoveTheDate proprio “per porre fine a questo schema ecologico se l’umanità è intenzionata a prosperare”. Tra le soluzioni suggerite c’è anche quello, direi ovviamente, di raccogliere e riciclare la spazzatura, e ricordare anche ad amici e parenti di essere più eco-consapevoli. Anche i piccoli cambiamenti di stili di vita possono dare, infatti, un contributo importante per la riduzione della nostra impronta ecologica senza rinunciare ai nostri bisogni.